Si parte proprio dai vestiti, con l'introduzione di tutta una serie di parole, corrispondenti a modalità e capi d'abbigliamento, che ci raccontano meglio usi e costumi dell'epoca, soprattutto in chiave di lettura spagnola, perché Lucrezia, come si sa è figlia del valenziano cardinale Rodrigo diventato poi Papa Alessandro VI. Mille particolari e mille curiosità hanno fatto parte della serata, documentata anche da slides, a cominciare dall'introduzione di una schiava nera, una bambina che regge il velo di Lucrezia sposa (in occasione delle sue prime nozze con il "parente povero" degli Sforza, ovvero quel Giovanni da Pesaro. Gli schiavi di colore erano stati regalati qualche anno prima al padre di Lucrezia e Isabella d'Este (più volte indicata come la "influencer" dell'epoca) ne pretende alcuni scurissimi che più scuri non si può! Ci furono molte pubblicazioni dell'epoca , soprattutto diari e cronologie che parlano del guardaroba di Lucrezia, della "rensa", una tela finissima, dei copricapi che usava, denominati "rodeo" o "rollo", della brocchetta, una spilla che teneva in genere sulla spalla sinistra. La Gnignera ha posto l'accento anche su come la pittura e gli artisti influenzassero la moda dell'epoca, come è successo per la decorazione "a vinci", sdoganata da Beatrice d'Este nell'abbigliamento. Per altro questo particolare è utile agli studiosi anche per il processo contrario, ovvero datare le immagini in relazione all'uso dei decori.
Una salsa verde dolce e forte, da realizzare con ingredienti come un mazzetto di prezzemolo e un mazzetto di menta, un paio di rametti di dragoncello, 150 g mollica di pane bianco, uno spicchio di aglio, aceto bianco, sale e pepe. Per la versione dolce aggiungere zucchero o miele secondo il proprio gusto. Le lasagnuole, la frittata rognosa, il pesce in potaccio, sono tutte ricette del Rinascimento (rintracciabili all'indirizzo Internet https://www.sandraianni.it/a-cena-con-la-storia-ricette-rinascimentali-da-gustare/?fbclid=IwAR1qIPM4ZgNq5aPS-ohzMjWvZuA6V9pH3JqoaiTx8O58z5msYVN0iiDUktU) che la profonda conoscitrice della storia della gastronomia, Sandra Ianni, ha voluto regalare ai lettori del suo blog, in occasione di un appuntamento che l'ha vista protagonista con Elisabetta Gnignera, esperta di abbigliamento e acconciature del Medioevo e del Rinascimento. Argomento Lucrezia Borgia che è da sempre uno dei personaggi più discussi e più amati (solo nell'ultimo anno sono usciti almeno tre libri su di lei) ed è stato il personaggio su cui si è incentrato l'incontro avvenuto on line dal titolo "Lo stile di Lucrezia Borgia, dalla moda alla tavola", un seminario con due relatrici piuttosto ferrate come Elisabetta Grignera, autrice tra l'altro del libro "Icone -Lucrezia e Cesare Borgia - Lo stile e le vesti" e Sandra Ianni, a cura di Sichanneltv.tv, la web TV di Siena che ne ha curato anche il supporto tecnologico. Si parte proprio dai vestiti, con l'introduzione di tutta una serie di parole, corrispondenti a modalità e capi d'abbigliamento, che ci raccontano meglio usi e costumi dell'epoca, soprattutto in chiave di lettura spagnola, perché Lucrezia, come si sa è figlia del valenziano cardinale Rodrigo diventato poi Papa Alessandro VI. Mille particolari e mille curiosità hanno fatto parte della serata, documentata anche da slides, a cominciare dall'introduzione di una schiava nera, una bambina che regge il velo di Lucrezia sposa (in occasione delle sue prime nozze con il "parente povero" degli Sforza, ovvero quel Giovanni da Pesaro. Gli schiavi di colore erano stati regalati qualche anno prima al padre di Lucrezia e Isabella d'Este (più volte indicata come la "influencer" dell'epoca) ne pretende alcuni scurissimi che più scuri non si può! Ci furono molte pubblicazioni dell'epoca , soprattutto diari e cronologie che parlano del guardaroba di Lucrezia, della "rensa", una tela finissima, dei copricapi che usava, denominati "rodeo" o "rollo", della brocchetta, una spilla che teneva in genere sulla spalla sinistra. La Gnignera ha posto l'accento anche su come la pittura e gli artisti influenzassero la moda dell'epoca, come è successo per la decorazione "a vinci", sdoganata da Beatrice d'Este nell'abbigliamento. Per altro questo particolare è utile agli studiosi anche per il processo contrario, ovvero datare le immagini in relazione all'uso dei decori. Ci fu un'introduzione di mode spagnole nel vestire italiano dell'epoca, ad esempio la sbernia (può chiamarsi in modo arcaico anche bernia), una sorta di mantello da portare, prevalentemente, appoggiato su una spalla sola. L'origine del capospalla è araba, ma la parola deriva da una stoffa grossolana che veniva prodotta in Irlanda (l'antica Hibernia). Stesso dicasi del saragoglio (saraguelles in catalano) una sorta di pantalone largo foggiato in pieghe, tipico di Valencia. Questa braghessa, del tutto simile a mutandoni da donna, poteva anche essere foderata di pelliccia (così come quella indossata da Giovanna la Pazza). Interessante l'uso della gamurra o gammurra, una veste femminile con le maniche staccabili che facilitava così la pulizia dei vestiti. D'altronde, soprattutto per le donne appartenenti alle famiglie più ricche, gli abiti erano spesso preziose realizzazioni di tessuti intrecciati con materiale prezioso, dall'oro alle pietre. Ma questi abiti, come tutti gli altri, dovevano essere lavati ed ecco che le maniche (solitamente più facilmente lordabili, a tavola o a cavallo), venivano tolte e lavate (Lucrezia ne aveva dieci paia nel suo corredo), mentre il resto veniva tamponato con soluzioni pulenti e con delle pezze che venivano passate delicatamente sull'abito. Anche la "scofia de zoye", la cuffia di gioie, cioè impreziosita da pietre, l'acconciatura trinzato e molte altre caratteristiche era di origine spagnola e sia Lucrezia che Beatrice d'Este avevano introdotto questi capi nel loro abbigliamento. Curioso leggere anche tutto ciò che faceva parte del suo corredo, pagine e pagine di scarpe, camicie, gioielli, guanti, ventagli, ecc., d'altronde è anche vero che gli appartenenti alle famiglie più in vista (figuriamoci la figlia del Papa) ricevevano visite illustri e si cambiavano d'abito più volte al giorno. Affascinante anche il discorso gastronomico che spetta all'esperta Sandra Ianni. Il Rinascimento nei banchetti era evidente non soltanto sulle figure che ruotavano in cucina, ma anche sulle scelte delle pietanze e addirittura sui tessuti di tovaglie, tendaggi e corredi. Cristoforo da Messisbugo, così come Lucrezia Borgia hanno influenzato con le loro scelte i costumi dell'epoca. Lui, spesso impiegato nell'ufficio "di spenderia", ovvero quello che si occupava di rifornimenti di cibarie, spezie, ma anche di spettacoli rappresentati durante un banchetto, ci ha lasciato come testimonianza dei veri e propri manuali e le successive correzioni e rivisitazioni sull'arte dell'allestimento di un banchetto. E Lucrezia ovviamente ci ha messo del suo, perché si narra che le lasagnuole o tagliatelle fossero state ispirate dai capelli di Lucrezia, quei capelli che hanno ispirato e fatto innamorare un sacco di uomini (una ciocca ritrovata all'interno del carteggio fra lei e Pietro Bembo, conservata nella Biblioteca Ambrosiana di Milano fece perdere la testa persino a Lord George Byron); il cosiddetto pane intrecciato "le coppiette ferraresi" fu ispirato dai boccoli di Lucrezia. Le stesse suore di Bisceglie si inventarono i "sospiri di Bisceglie" per il matrimonio di Lucrezia con il suo secondo marito Alfonso d'Aragona. Ma sono molte le ispirazioni legate a Lucrezia che deve aver avuto qualcosa a che fare anche con la tipica salama da sugo ferrarese (che nacque proprio in quel periodo), ma amava moltissimo anche il tartufo. A Sermoneta (LT) ancora oggi viene servito un piatto da una ricetta che si chiama "Pollo alla Lucrezia Borgia". Ma le curiosità proposte da Sandra Ianni non si esauriscono coni gusti di Lucrezia per questa ricetta o quell'ingrediente. L'esperta ha spiegato perfettamente i vari personaggi legati ai banchetti delle famiglie altolocate, a cominciare da un personaggio introdotto da Giovan Francesco Colle nel suo "Refugio de povero gentilhuomo" che ha raccontato del "trinciante", un elemento importante perché a lui si doveva il taglio delle carni, ma interessante è scoprire che siccome il compito doveva essere svolto con grande eleganza e maestria, allora era meglio scegliere tra uomini di rango elevato, dal giusto portamento, sorridente e in grado di mettere gli ospiti a proprio agio. Dello "spenditore" si è già parlato, mentre il "dispensiere" era il responsabile della dispensa e quindi anche delle scorte; il "credenziere" era colui incaricato di aver cura degli argenti e del vasellame, ma era anche colui che preparava alcune pietanze fredde, il cosiddetto "servizio di credenza", in genere dolci o insalate (in alternanza al servizio di cucina, caldo, per un totale anche di cinquanta piatti). Lo "scalco" era il personaggio a metà tra un direttore di sala e un impresario teatrale. Insomma le cucine erano decisamente affollate delle figure più articolate e necessarie per il buon andamento di un banchetto che di solito prevedeva carne, selvaggina, selvaggina da piuma, animali da cortile, ma anche pesce, anche di acqua dolce. Tutto sommato, fin qui, nessuna sorpresa. Il bello sta che il cibo più ricercato fosse la carne di pavone perché si riteneva che le sue carni non marcissero mai, mentre, di contro, alla corte ferrarese non erano graditi razza, polpo e pescecane e successivamente anche il gambero, forse per un evento nefasto legato a una indigestione. Sulla tavola di Lucrezia era particolarmente gradito il melone, ma anche le rape, le carote nere, l'arancio amaro per creme e dolci. Era piuttosto consueto l'uso del riso e della pasta, anche se diversamente da come la intendiamo noi, visto che veniva lasciata cuocere a lungo (anche un'ora) e spesso veniva servita con il brodo. Curioso che il formaggio, inizialmente considerato cibo povero, adatto alle mense dei contadini, fu poi riabilitato e utilizzato per molte ricette. Spezie e zucchero si trovavano su ogni piatto, pasticceria piuttosto varia con dolci di frutta, confetture, confetteria, utilizzo di profumi di rosa, muschio, zibetto, ambra grigia. E non mancava il vino: moscatello, greco, mangiaguerra, rosso di Salerno, ecc., mentre particolarmente graditi erano le bevande aromatizzate alla rosa o alla mente e i vini dolci speziati, tipo elisir, come l'IPOCLAS, riportato alla luce da Sandra Ianni da una ricetta del Cinquecento di Isabella Medici Orsini, signora di Bracciano. Ultima curiosità: in questi banchetti erano soliti utilizzare degli stecchi profumati come stuzzicadenti, a volte si trattava anche di bastoncini di cannella che avevano il duplice compito di profumare l'alito e favorire la digestione.
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AutoreGiornalista con una grande voglia di scrivere, anche per rendere giustizia a una professione che per pochi è rimasta una missione di servizio al lettore-cittadino-ascoltatore-telespettatore-utente. E poi sono una voce. Nel senso di speaker. Archivio
Marzo 2023
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