Ma tornando per un attimo alla sua tavolozza, lì davanti e solo lì davanti, il brivido corre lungo la schiena tra un arancione intenso e un giallo sole, un verde smeraldo e un rosa acceso. Eccolo Claude Monet, è lì, con i suoi pennelli, gli occhiali e la sua pipa...
Di sicuro non è la mostra che ci si aspetta, quella esaustiva su Claude Monet, ma solo una proposta di alcune delle opere presenti al Musée Marmottan Monet di Parigi. Sono troppe le assenze per avere un quadro ideale della sua grandezza, troppe le opere famose che mancano tra le 60 esposte, al punto che diventa esaltante la sua tavolozza, piena dei suoi colori brillanti, i suoi occhiali, la sua pipa. Questa in sintesi l'impressione che si ottiene dopo una visita a "Monet. Capolavori dal Musée Marmottan Monet, Parigi", allestita dal 19 ottobre 2017 e prolungata fino al 3 giugno prossimo, al Complesso del Vittoriano, Ala Brasini, di Roma. Ci sono tutte le opere che l'artista ha conservato nella sua adorata abitazione di Giverny, immagini del suo meraviglioso giardino, ma anche (è inutile nascondersi dietro a un dito) quadri che non gli riuscì di vendere, come quel paesaggio di Vétheuil con la nebbia che non trovò consensi tra gli estimatori di Monet. Dalle sue prime caricature ai ritratti dei figli, fino agli ultimi esperimenti di macchie di colore per rendere l'idea del ponte giapponese o di quello stagno lì sotto, che lui aveva creato nella sua Giverny, deviando un piccolo corso d'acqua, per ricreare quella "vasca" delle ninfee di cui si era follemente innamorato nel 1889 all'Esposizione Universale di Parigi, quando le vide per la prima volta, esposte dal vivaista Joseph Bory Latour-Marliac, francese di nobili origini che diede vita a oltre cento varietà di questo fiore acquatico. Divennero il soggetto preferito di Monet, al punto che furono protagoniste di circa 250 tele. A questo proposito è stupendo l'allestimento del corridoio iniziale di accesso alla mostra del Vittoriano che, grazie a un gioco di videoproiettori, permette al visitatore di muoversi direttamente tra le meravigliose e più conosciute ninfee dell'artista. Probabilmente unica o una delle poche emozioni dell'intera esposizione romana. Per il resto i quadri dalle grandissime dimensioni con l'idea di glicini e ninfee, la proposta dei salici che quadro dopo quadro diventano macchie di colore, così come quel famoso ponticello giapponese sopra lo stagno delle ninfee o gli archi dei roseti nel giardino di Giverny. Ma se cercate le donne con il parasole, beh di quelle non c'è traccia, come non c'è traccia dei dipinti di Venezia e di un Monet prima maniera, solare e capace di lasciare senza fiato, rendendo ancora più interessante il suo essere diventato il padre dell'Impressionismo e re delle pennellate di colore in tutti i loro significati. E' vero che molti quadri di Monet sono andati perduti per sempre, distrutti dal rogo del 1958 al Museum of Modern Art di New York, rubati e mai più ritrovati o chissà perché distrutti e non solo per tragici errori. A questo proposito è interessante, a fine mostra, la ri-materializzazione delle celebri "Ninfee" (1914-1926), quadro distrutto dal rogo di New York, ovvero il risultato di un lavoro corale di storici e tecnici che nei laboratori artistici e con le più moderne tecnologie riportano alla luce dipinti perduti.
Ma tornando per un attimo alla sua tavolozza, lì davanti e solo lì davanti, il brivido corre lungo la schiena tra un arancione intenso e un giallo sole, un verde smeraldo e un rosa acceso. Eccolo Claude Monet, è lì, con i suoi pennelli, gli occhiali e la sua pipa...
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AutoreGiornalista con una grande voglia di scrivere, anche per rendere giustizia a una professione che per pochi è rimasta una missione di servizio al lettore-cittadino-ascoltatore-telespettatore-utente. E poi sono una voce. Nel senso di speaker. Archivio
Marzo 2023
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