
Tanto per cominciare il convegno si è aperto, dopo i saluti iniziali, con la relazione di Elis Pantini, responsabile di Wine Monitor, sul tema "Scenari evolutivi e prospettive di mercato per i vini rossi". Beh consolante che l'Italia sia il primo produttore al mondo con 20 milioni di ettolitri, seguita di un soffio dalla Francia (18,9), che sia il secondo esportatore al mondo per 2,3 miliardi di euro (i francesi sono davanti con 3,7 miliardi di euro). Export e prezzi dei vini francesi sono maggiori di quelli italiani. E se proprio vogliamo proseguire in questo "duello - confronto" con i cugini d'Oltralpe, è il Bordeaux a farla da padrone tra le DOP (1,6 miliardi di euro), seguito a distanza dai vini toscani (531 milioni di euro), quindi la Borgogna (352 milioni di euro, raggiungendo prezzi al litro elevatissimi), i vini del Veneto (272 milioni di euro) e quelli del Piemonte (243 milioni di euro) Per quanto riguarda il consumo di rosso, il nostro Paese è al quarto posto con 9,1 milioni di ettolitri. Della produzione totale delle Marche il 47% è rappresentata dai rossi. Rossi che se pur crescono nell'export con grandi performance, ad esempio, della Cina (primo consumatore al mondo, seguito da USA e Francia), dove per altro il vino rosso è preferito per una questione scaramantica visto che, grazie al suo colore, si pensa porti fortuna, perdono il 15% delle vendite nella nostrana GDO. L'export dei nostri rossi italiani che rappresentano comunque un buon biglietto da visita nei mercati internazionali e che hanno sempre costituito il "gancio di traino" per tutto il resto, si è adeguato ai cambiamenti e alle richieste, riposizionandosi verso l'alto per quanto riguarda il prezzo. Questa modalità di variazione del mercato implica che i produttori di rossi italiani modifichino l'approccio, mettendo in campo strategie diverse di marketing che non tolgano nulla, però, al prodotto e alla tradizione. Il mercato di riferimento maggiore è quello degli Stati Uniti (22%), poi c'è la Germania (18%), seguita da Svizzera e Canada (più o meno 9%). Se si prendono in esame gli ultimi cinque anni, invece, l'export è cresciuto di più in Paesi come l'Australia (+124,8%), la Polonia (+96,3%) e la Cina (+73,3%).
Di contro, il mercato internazionale è sempre più esigente e attento, basti pensare che oltre il 60% del vino esportato è DOP. Stesso dicasi per il mercato nazionale. Questo in generale, perché poi c'è la piccola nicchia del Rosso Conero, il padrone di casa, con 49 produttori di uve, 45 imbottigliatori, 12.500 ettolitri certificati e 10.503 ettolitri imbottigliati (+2.842 Conero DOCG). I suoi consumatori lo bevono ai pasti (il consumo è prevalentemente casalingo) e sono marchigiani, con un parente marchigiano o che hanno visitato e frequentato (per turismo o lavoro) il territorio della Riviera del Conero. Il legame con il territorio è insomma fortissimo. L'origine territoriale e la popolarità del vitigno lo rende preferibile per i "consumatori aged", mentre i più giovani ricercano il brand o una maggiore attenzione all'ambiente e al biologico.

Pone l'attenzione sull'annata 2017 Riccardo Cotarella, presidente dell'Associazione degli enologi italiani e consulente di molte cantine in Italia e all'estero. "Sin dal luglio scorso - ha detto - si poteva prevedere una vendemmia povera di quantità. Probabilmente si scenderà anche sotto il -24% previsto, anche se sarà possibile avere dati certi soltanto dopo la vendemmia. Con una grande gelata iniziale e un'estate poi di siccità e temperature africane, le viti hanno sofferto molto. E' vero, sono piante resistenti, ma non si può pensare che abbiano fruttificato nel modo migliore in questa situazione. Aborro sentire parlare della vendemmia del secolo per la qualità: basta un po' di buonsenso per capire che in questa situazione ci sono state difficoltà anche per la qualità. Cerchiamo di non diventare poco credibili, indorare la pillola non serve a nessuno! Soprattutto perché la situazione anomala è comune a tutti".
Si è poi soffermato sul valore del vino rosso in termini generali, sottolineando come siano i rossi che fanno territorio e "danno al territorio e ai produttori, molto più dei bianchi, un contributo identificativo. I rossi respirano il territorio, ne sono perno e fondamenta, ne sono bandiere: togliamo alla Toscana le vigne e vediamo che fine fa il turismo!".
L'enologo Federico Curtaz ha esordito con il rosso, colore simbolo per gli italiani, con il vino e la Ferrari! "Non voglio fare la voce fuori dal coro - ha detto, ma vorrei dare una lettura positiva. Se facciamo una lettura storica e climatica degli ultimi 700 anni, diciamo dal Rinascimento in poi, non siamo ancora nel periodo più caldo. Certo è che la viticoltura va pianificata e curata. Si deve analizzare bene il territorio dove impiantare i vigneti, perché serve una vocazione del territorio stesso e poi, certo, agronomia e tecnica sono importanti. Quindi stiamo attenti dove impiantiamo i rossi, mettiamoli nei luoghi giusti che possano regalare poi al vino armonia ed eleganza".
Ha raccolto il testimone dei suoi colleghi l'enologo Lorenzo Landi che ha riconosciuto la problematicità di questa annata, sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo, al punto che da non sapere nemmeno se è il momento di raccogliere, se la pioggia potrà fare qualcosa, ammesso e concesso che ne faccia a sufficienza per essere un sollievo e un toccasana e non un ulteriore danno. "Le uve non sono mature e al momento la situazione è estremamente problematica. Non voglio fare catastrofismi sul trend climatico: se è vero che qualche secolo fa si piantava grano a Chamonix, lo spaccato degli ultimi 5/700 anni può raccontarci molto. Basta leggere i dati storici, soprattutto francesi, perché di italiani ne abbiamo pochi, vedere le produzioni, l'andamento, cogliere le indicazioni. Magari questa situazione non è definitiva, ma è un ciclo iniziato da una ventina di anni e che terminerà non troppo in là. Noi dobbiamo avere un ruolo in questa situazione, aiutare i produttori a fare le scelte migliori, ma di sicuro è difficile prevedere il futuro".

Nasce da una combinazione tra uve Montepulciano (che rappresentano l'85%) e uve Sangiovese (il restante 15%) e prende il nome dai vigneti disposti tutti intorno al Monte Conero, altitudine dorica che scende direttamente sul mare Adriatico e che rappresenta proprio il territorio ideale per le uve Montepulciano. Il vino è molto antico e se ne trovano cenni e citazioni direttamente negli scritti di Plinio e non solo. I monaci benedettini facevano largo uso del nettare ricavato dalle uve del monte, anche a scopi curativi e Andrea Bacci, medico del papa marchigiano Sisto V ne parlò abbondantemente nel suo libro "De naturali vinorum historia", considerato la prima guida dei vini in assoluto. Federico Barbarossa ne fu un grande estimatore e Giacomo Leopardi lo consacrò in alcuni scritti in cui parla proprio del vino prodotto sulle pendici del Conero e dell'ubriachezza. Si narra che addirittura con il vino del Conero furono curati alcuni cavalli di Annibale. D'altronde la vite e la successiva vinificazione erano già conosciute da Romani e Greci e se si considerano le origini di Ancona e l'intreccio della sua storia con gli antichi romani, tutto si fa ancora più chiaro.
Tra gli attuali Comuni di produzione sono compresi Ancona, Offagna, Camerano, Sirolo, Numana e in parte anche Castelfidardo e Osimo, così come segnala la "strada del Rosso Conero", percorso enoturistico che conduce attraverso il territorio dove sono visibili i vigneti e dove sono dislocate le cantine dei produttori. Il Comune di Camerano è considerato il cuore di questo territorio e non a caso è sede da 22 anni di una festa dedicata a questo vino che si tiene nel primo fine settimana di settembre. Di un rosso rubino intenso tendente al violaceo, che diventa più caldo e maturo con l'invecchiamento fino a raggiungere un color granato, il Rosso Conero è un vino importante, aromatico e fruttato, anche se alcune sfumature sono determinate dal territorio specifico dove è situato il vigneto. Secco, corposo e complesso oltre che ben strutturato, si abbina quindi alle carni, soprattutto arrosti e selvaggina (se bevuto più giovane vanno bene anche carni bianche, pollame e formaggi di media stagionatura). Il vino va fatto decantare e va servito in bicchieri bordolesi (tulipano alto di media grandezza) a una temperatura di 18°.
Ha ottenuto la DOC nel 1967, mentre nel 2004 la versione Riserva ha ottenuto la denominazione DOCG. Quindi, come per molti altri rossi nobili italiani, sono questi i due prodotti sul mercato: il Rosso Conero DOC e il Conero DOCG.