
Giorgio Grai è il signore dei vini e per i marchigiani può a pieno titolo identificarsi come il “Signor Verdicchio” e non solo. Ottantasei anni il prossimo giugno, ha il fascino della saggezza, la grazia di un’educazione di altri tempi e la forza della passione che mette ancora oggi nell’aprire una bottiglia, annusare il suo vino, apprezzarlo, dell’amore con cui lo guarda, con quegli occhi blu vivaci e che parlano di esperienza di alto livello, di condivisione, di quei saperi che lo portano ad essere sempre un numero uno. E’ stato sicuramente un privilegio essere nel teatro comunale “Mario Tiberini” di San Lorenzo in Campo (PU), intitolato al tenore marchigiano dell’Ottocento, in un pomeriggio di fine febbraio, in cui lo chef Massimo Biagiali ha deciso di dedicare proprio a Giorgio Grai un incontro, con tanto di cena conclusiva nel suo hotel ristorante “Giardino”.
Definito “naso”, ma anche la “fortuna della Marche” e in mille altri modi ancora, è certo che il Verdicchio deve molto a questo signore, che in termini di vinificazione e procedure, di lavoro e intuizioni vincenti ha permesso di arrivare a quel vino che oggi è testimonial delle Marche nel mondo, sicuramente il vino più conosciuto di questa regione.
“Bisogna essere curiosi – ha detto Grai – ma anche rispettosi. Non si deve avere la smania di monetizzare subito e anche il tempo va tenuto nella dovuta considerazione. Bruciare le tappe non serve a nessuno. Tantomeno al vino. Avevo immaginato nuovi vini dai vitigni endemici e badate bene endemici, non autoctoni, perché se così fosse si dovrebbe essere in Mesopotamia, perché è da lì che è nato tutto! I vitigni delle Marche sono straordinari, ma era necessario capire, interpretare, tolettare al meglio. E i produttori di oggi stanno facendo quello che io e Ampelio Bucci (produttore dei vini Villa Bucci di Ostra Vetere – AN e grande esperto di vinificazione - ndr) abbiamo fatto trenta anni fa”.
Poche parole che inquadrano il personaggio, questa mano così speciale che si posa delicatamente sul grappolo, studia la botte, osserva la cantina, annusa il vino nuovo, suggerisce, ordina cambiamenti radicali attraverso battute fulminanti. E’ colui che sa il fatto suo, che va oltre il suo intuito e le sue capacità, fa tesoro delle esperienze, si concentra, per catalogare ogni suggerimento olfattivo, quasi come un database vivente, perché sa che è sempre una questione di naso. Proprio per questo fa precisazioni su una delle professioni più importanti del vino.
“Vorrei far chiarezza sul termine enotecnico – dichiara - perché spesso di fa confusione. L’enotecnico è colui che ha la funzione di conoscere la scienza dell’enologia e sa applicarla, si serve della tecnologia e sa che è un alibi, perché tutte quelle apparecchiature straordinarie che si vedono oggi in cantina non servirebbero a niente se non si facesse attenzione al processo della vinificazione. L’industria vuole risparmiare i tempi, ha grandi urgenze, ma il tempo, lo ribadisco, va rispettato. Non è l’enologo a dover fare miracoli, aggiustando un vino, ma è sicuramente la figura che deve prevedere, sin dalla fioritura della vite, l’andamento della stagione. Solo facendo molta attenzione a ogni particolare e non perdendo di vista tutte le variazioni della vigna e in base a tutte le informazioni che da essa si ricevono, si stabilisce quando e come andare a vendemmiare.
Tutti hanno facoltà olfattive, ma sono pochi quelli che riescono a trarre indicazioni dagli odori, creando reti di informazioni. E poi si deve decidere, osare quasi, fidandosi delle proprie osservazioni e capacità. Per questo voglio dire anche ai sommelier di usare la testa in proprio, non di proporre un vino solo per un’etichetta o per la forza di una cantina. Cercate di creare emozioni!”.
Con una visione molto chiara dei tempi che viviamo, nei quali non si fa niente per niente (“Il cane non muove nemmeno la coda, se non gli dai una bistecca”, afferma Grai), suggerisce uno svincolarsi dal “sistema sbagliato” per tornare a fare qualcosa “per il solo piacere di farlo”.
“Vorrei dire inoltre: Cercate di fare squadra. Ci sono dei percorsi di storia, gastronomia, prodotti, arte, che sono straordinari e ci sono infinite possibilità di far convogliare qui i turismi. E’ questo che si deve studiare, anche iniziando con poco, in virtù di quell’adagio che afferma che less is more, meno è di più, cominciare dalle cose semplici. A produrre con dei progetti. Non deve certo venire qui uno di Bolzano a dirvi questo!”.
Dichiarandosi distante dalle guide (ma non quelle alpine delle sue montagne, per le quali ha grande rispetto, mentre per le altre... “Come si può farne una senza andare in cantina, che è così importante, ma usando dei campioni?”), Giorgio Grai ha però regalato, per concludere l’incontro a teatro, un ricordo-chicca, proprio sulle guide.
“Possiedo una Guida Michelin del 1900 e, pensate, c’era già la reclame della macchina elettrica, già da allora! La Guida spiegava come cambiare una gomma, in caso di foratura, per strada. Successivamente ha cominciato a segnalare luoghi dove potersi fermare a riposarsi e ristorarsi, in caso del suddetto faticoso cambio di pneumatico. Oggi è assurda la creazione degli stellati. L’uomo e il mondo valgono più di due stelle, tre stelle! Se fra umani creassimo dei gruppi di onesti, non si avrebbe bisogno delle guide, ma lo scambio di notizie e informazioni sarebbe naturale…”.