Man mano che racconta e si racconta, con tutto ciò che ha vissuto, ti prende la voglia di alzarti dal tuo posto, lì, davanti a tutti e stringerla forte per farle sentire che ci sei, che puoi soltanto immaginarti lontanamente la sua sofferenza, ma che sei comunque solidale. Vorresti alleviare per un po' quelle pene, quelle colpe che Giorgia si dà, ammettendo il proprio errore. Ma continui ad ascoltare lei che prosegue...
Giorgia Benusiglio, prima italiana (secondo caso nel mondo) sopravvissuta all'epatite tossica fulminante che ha contratto per mezza pasticca di ecstasy (proveniente da una partita che arrivava dall'Olanda ed era stata tagliata con veleno per topi), l'ho conosciuta a Polverigi, in un incontro presso la sala consiliare del Comune. Per quel suo errore, commesso all'età di 17 anni, ha pagato un prezzo molto alto, anzi "troppo alto", come scrisse il suo papà in una lettera al Corriere della Sera all'indomani del trapianto di fegato.
Era il 3 novembre 1999 ed era successo tutto da poco e inevitabilmente era lì a chiedersi: "Sarò stato un buon padre finora?", conscio però che "a casa mia l'affetto non è mai mancato a nessuno: non è cosa da poco. Ma quel senso di colpa non se ne va lo stesso. E così mi domando: "Sarò stato un buon padre finora?". Un rompicapo che non ha soluzione. Sono un padre e basta. E sono qui. Disarmato davanti alla vita che mi attacca. Come ogni padre".
Per Giorgia, leggere a tutti questa lettera del suo papà che non c'è più, è un modo per sentirlo vicino. L'ha scoperta recentemente e da questa lettera ha avuto le risposte che cercava a domande mai fatte e che ora non può più fare. E si commuove. La voce incrinata dall'emozione non si ferma, mentre altrove, qui e là per la sala, qualcuno si asciuga una lacrima. A suo padre regala ogni volta i suoi sorrisi più luminosi, quando ricorda e racconta di lui e anche quel nodo in gola dovuto alla consapevolezza che da un anno non c'è più. E lei continua a raccontare le difficoltà che vive ogni giorno da quella fine di ottobre che ha segnato per sempre la sua vita, continua ad assumersi le proprie responsabilità, a ribadire che non vuole mettersi in cattedra a dire o non dire che cosa fare a ciascun ragazzo che incontra. Dice solo: "Se mai ti capiterà... o... Quando ti troverai di nuovo di fronte a questa scelta... pensa a me, alla mia storia, alla mia vita".
Un'esperienza che dovrebbe far rifuggire da certe decisioni, anche senza scendere troppo nei particolari e ce ne sono molti, tutti terribili e condizionanti. E Giorgia non ne risparmia nessuno: due estreme unzioni, un tumore che l'ha colpita proprio in quel fegato trapiantato, il controllo costante dei globuli bianchi per evitare il rigetto... Già solo questo e non è tutto, basta e avanza!
"Mi sono autoderubata della mia adolescenza - afferma - e sono una paziente a vita". E poi racconta della difficoltà iniziale di accettare razionalmente di avere il fegato di un'altra, una donatrice, Alessandra, marchigiana di Civitanova Marche, di soli due anni più grande di lei, che ha perso la vita in un incidente. Pur se le donazioni di organi sono anonime, non è stato difficile per i genitori di Alessandra capire dove fosse finito il suo fegato, anche perché Giorgia era diventato un caso mediatico, era su tutti i giornali. "E' stato un dono che non poteva essere sprecato, così mi sono rimboccata le maniche e ho iniziato il percorso di questo progetto"...
Non solo da anni gira in lungo e in largo per l'Italia a incontrare i giovani, ma ha scritto anche un libro, "Vuoi trasgredire? Non farti", per raccontare questa sua storia. Un'esperienza talmente forte che vorrebbe fosse un monito per tutti, tanto da prendere la droga come un'offesa personale e non accettare uno "sgarro" nemmeno da parte degli amici più cari che allontana e non senza dolore.
In un paio d'ore sciorina dati e caratteristiche delle sostanze stupefacenti, elenca nomi, percentuali, fornisce consigli ed esprime pensieri, parla di life skills, quelle competenze fondamentali per la nostra esistenza che ci permettono di affrontare situazioni, prendere decisioni, confrontarci, comunicare, sviluppare la nostra creatività, l'empatia, gestire lo stress e le emozioni...
E ha mille sogni nel cassetto, quello di un figlio, con tutte le difficoltà e le complicazioni che comporta, o quello che le comunità possano tutte chiudere per mancanza di ragazzi che ne hanno bisogno per disintossicarsi, o ancora quello che ogni giovane possa voler fare della propria vita un capolavoro, quello che non è riuscito a lei, come afferma. Ma siamo in tanti a non pensarla così!