“Mio Signore, non ho pari nella fabbricazione di ponti, fortificazioni e macchine da guerra, i miei dipinti e sculture possono paragonarsi vantaggiosamente a quelli di altri grandi artisti. Sono maestro nel raccontare indovinelli e nel fare nodi marinai e sono ineguagliabile nel preparare dolci e piatti prelibati”. Così scriveva Leonardo da Vinci a Ludovico il Moro per entrare al suo servizio. Incredibile pensare al genio Leonardo in cucina, intento a preparare qualcosa come se fosse un'opera di alta ingegneria. Questa è solo una delle curiosità che fanno parte del nuovo libro di Carlo Giuseppe Valli “Un cuoco costava più di un cavallo”, presentato al teatro “Tiberini” di San Lorenzo in Campo, in un incontro organizzato dall'Hotel Ristorante il Giardino di Massimo Biagiali e l'amministrazione comunale. Il volume è il risultato di una ricerca sulla storia dei cuochi e del mestiere del cuoco, fin dove è stato possibile ricavare notizie. Certo il titolo ci racconta che ieri come oggi la figura del cuoco ha avuto un ruolo importantissimo.
Si è soffermato su questo anche il sindaco di San Lorenzo in Campo, Davide Dellonti, portandoci a pensare al cuoco come ambasciatore di un territorio e come tale in grado anche di attirare l'attenzione del turismo. “Chi è il turista? – ha detto – L'Organizzazione Mondiale del Turismo (World Tourism Organization), agenzia specializzata delle Nazioni Unite ha definito il turista come colui che viaggia in paesi diversi dalla sua residenza abituale e al di fuori del proprio ambiente quotidiano, per un periodo di almeno una notte, ma non superiore a un anno e il cui scopo abituale sia diverso dall'esercizio di ogni attività remunerata all'interno dello Stato visitato”. Una definizione su cui riflettere a diversi livelli e che comprende tutti coloro che viaggiano per svago, riposo, vacanza, visite ad amici e parenti, per cultura, per affari, per impegni professionali, di salute, religiosi e non ultimo anche per la volontà di scoprire i territori attraverso i sapori, i prodotti tipici, la cucina.
In una serata dedicata alle curiosità contenute nel bel libro di Valli, anche il sindaco ha voluto dare al pubblico alcune curiosità, ricordando, ad esempio, che il territorio del suo Comune fonda le sue origini sulla romanità che aveva come prodotto fondamentale il farro (che è uno dei prodotti tipici locali) per pane, focacce, polente... “Da farro – ha detto il sindaco – deriva la parola farina, non ce lo dimentichiamo!”.
Soddisfazione è stata espressa da Massimo Biagiali che ha ribadito come in 46 anni di attività della sua struttura gli sia capitato spesso di ospitare clienti che nulla avevano a che fare con San Lorenzo in Campo. Guardando Carlo Valli lo ha ringraziato per la sua presenza, affermando: “Un cuoco costava più di un cavallo... un cuoco è matto come un cavallo!! perché senza estro non va da nessuna parte”. E ha citato l'esempio di Hiro, un cuoco giapponese che ha lavorato nella cucina del suo Giardino. “Era un nevrotico, ma quello che riusciva a fare era unico! Entrava in cucina a mezzanotte e ne usciva alle 23.30 del giorno dopo. Sono però orgoglioso di lui. Ora in Giappone ha aperto un ristorante che ha chiamato “Il Giardino 1979”, la stessa nostra data di apertura. E a ottobre torna!”.
Federico Taminghi è un giovane cultore di storia, oltre che uno chef, a lui è toccato spiegare le origini del titolo del libro che non sono proprio casuali. “Un cuoco costava più di un cavallo – ha detto – è una frase di Plinio il Vecchio, che scrisse di scienze, sì, ma fece anche osservazioni con molta curiosità. In questo senso possiamo dire che l'arte culinaria deve prevedere anche uno studio della materia prima, oltre che della tecnica e la creatività. La cucina non ha una funzione astratta, ma sa che le esigenze del singolo individuo vengono prima di tutto il resto. E il cuoco è anche uno storico, perché portatore di antichi saperi non sempre scritti”.
Con tali premesse, la ricerca storica, sociologica e antropologica di Carlo Giuseppe Valli diventa quasi fondamentale in un mondo nel quale non si fa più troppa attenzione allo spreco delle risorse della Terra, si sfornano cuochi -star e si comunica la cucina con scarso rigore.
“Il libro è un viaggio – ha detto il prof. Valli – alla scoperta del cuoco che vediamo tutti i giorni, basta accendere la tv! Il tentativo era di capire come siamo arrivati a questo. In tutta l'esistenza dell'uomo ricca di cambiamenti, l'unica cosa rimasta centrale è il cibo. Il mangiare è il piacere più naturale, diceva Plutarco, un rito, un momento di sosta. Sedersi alla tavola apparecchiata, anche fuori casa, era celebrativo, conviviale. Il cibo è stato palcoscenico della società e così anche la tavola con i suoi riti, i capifamiglia a capotavola che distribuivano il cibo ai commensali”. Un mondo di sollecitazioni al pensiero, già soltanto per questi accenni del professore su quanto sarà possibile leggere nel libro. Ma poi torna sull'adorato Leonardo da Vinci, che lavorò nel laboratorio del suo patrigno, che era un pasticcere; che fu assunto nella Trattoria delle 3 lumache che si trovava vicino al Ponte Vecchio, ma fu licenziato perché lui che mangiava poco e malvolentieri aveva ridotto di sua volontà le porzioni. Così mise su una sua trattoria, con Botticelli, la Trattoria delle 3 ranocchie...
“Leonardo inventò il tovagliolo nel suo lavoro come cerimoniere a Milano – dice ancora il professore – e fu una volta in cui preparò una insalatona per un cardinale, mettendo, con le belle e carnose foglie di lattuga, uova di quaglia, caviale, piccole cipolline di Mantova. Ovviamente pensava che il cardinale si sarebbe servito la sua parte per poi passare il piatto agli altri, cosa che non successe, ma anzi, il cardinale si abbuffò di uova, caviale e cipolline, pulendosi poi faccia e mani nelle foglie di insalata”...
Grazie a Leonardo si conoscono 25 modi per piegare i tovaglioli. Si presume anche che si inventò la prima forma di spaghetti, visto che si è trovata notizia di uno spago mangiabile che aveva presentato a tavola (e gli spaghetti arriveranno solo nell'Ottocento).
Tornando alla figura del cuoco, si deve riconoscergli l'essere tecnico e specialista che aveva tra i suoi doveri quello di preparare piatti che altrimenti non si sarebbero mangiati. La creatività, quindi, è ribadita dalla storia. Questa è forse la motivazione per cui oggi ci sono poche donne chef, perché da sempre le donne cucinavano in casa, mentre all'uomo cuoco era riservato il compito di stupire. Avere un cuoco in casa, alle proprie dipendenze, come è ovvio, era privilegio di pochi, ecco perché Plinio si azzardò a dire che costavano più di un cavallo, perché qualcuno guadagnava più di cento sesterzi. Dovevano essere un po' psicologi, attenti osservatori, opportunisti, avevano difficoltà organizzative, dovevano saper gestire il fuoco, la fiamma su cui cucinavano. Critiche e censure nei loro confronti erano fortissime, potevano subire frustate e pene corporali se sbagliavano un piatto. Erano sì privilegiati, sotto certi aspetti (avevano a disposizione carne, servitori, cenere e un cavallo. E poi il nome di 4 cuochi sono ricordati ai Fori di Roma e Bartolomeo Scampi, cuoco del Vaticano, è stato seppellito in chiesa, solo per fare alcuni esempi), ma erano pur sempre dei servi, ai quali Seneca rimproverava l'eccentricità!
Il libro parla anche, tra tantissime altre cose, anche della grande rivoluzione che arrivò con la nascita del ristorante, dopo la Rivoluzione francese e un aumento della domanda delle ristorazione da parte della borghesia emergente e racconta di una regione come le Marche che ha dato moltissimo alla storia della cucina italiana, quasi uno dei territori che ha contribuito di più. E oggi? Oggi con pochi figli e molti anziani, questa società in cui il 40% delle persone mangia fuori casa, al volo, in cui si sono perse le tradizioni come quella del pesce del venerdì e non si passa più tanto tempo in cucina, anzi… Ebbene oggi mentre rischiamo di perdere traccia di sapori e saperi, abbiamo oltre 50 trasmissioni di cucina e oltre mille siti che dispensano consigli e ricette. “L’unico riferimento vero resta il cuoco, caricato di una grande responsabilità. Abbiamo materia prima straordinaria da interpretare secondo il gusto italiano ed evitando, se possibile, eccessi e mode trasmigrando da un trasmissione all’altra…”.